Lavoro è un concetto tra quei contenuti che è assolutamente necessario riformulare perché la narrazione sociale sia un poco più adeguata all’evoluzione storica che l’umanità ha compiuto negli ultimi sessant’anni, nel mondo occidentale e in specifico nell’Europa democratica, dopo la fine della seconda guerra mondiale.

La pace ha permesso alla ricerca in tutti i campi, dalla fisica alla medicina, cioè dalle scienze della terra alle scienze umane, di raggiungere una evoluzione tecnologica da fantascienza e la qualità democratica dell’organizzatone degli Stati ha permesso un’evoluzione della coscienza sociale e umana mai raggiunte prima.

L’evoluzione di questi due movimenti della società occidentale però è stata talmente rapida e in molti casi profonda che non è stato possibile adeguare ad essa il linguaggio, e quindi la sua narrazione; per questo si è creata una discrasia tra la realtà e la sua interpretazione, tanto profonda da creare disagio non solo sociale ma spesso anche esistenziale e soggettivo.

Il lavoro, siccome è il punto in cui questi due movimenti si incontrano, è il concetto che più urgentemente deve essere riqualificato e ridefinito perchè possa corrispondere un poco di più alla coscienza umana e sociale fin qui maturata.

Con la prima rivoluzione industriale l’essere umano ha capito che poteva emanciparsi dalla natura e dalla servitù della gleba ed è nato il concetto di lavoro come capacità di trasformare in merce e la fatica attraverso le macchine. Con la seconda rivoluzione industriale il lavoratore ha capito che poteva cambiare il suo stato sociale attraverso l’acquisizione di beni che gli permettessero di liberarsi il tempo dalla necessità e di poter gustare finalmente il benessere acquisito.

Il lavoro considerato merce di scambio, frutto delle due rivoluzioni industriali e base di tutta l’analisi marxista, che ha portato sì all’emancipazione di ampi strati sociali, oggi però deve essere superato, perché l’informatizzazione e la robotizzazione hanno messo in evidenza che quel tipo di lavoro è meccanico, non umano. Infatti la totale informatizzazione dell’industria ha eliminato la necessità della presenza umana nella produzione di quei beni che riducono la fatica quotidiana della vita per la sopravvivenza, perciò il lavoro umano viene svalutato dalla concorrenza delle macchine che hanno costi assolutamente irrisori. Il lavoro umano non può essere equiparato alla produzione di merce, ma deve essere riconosciuto come l’espressione della personale creatività e della soggettiva volontà di uscire dalla ripetitività e di trasformare il mondo migliorandolo.

La creatività umana deve essere riconosciuta come lavoro, per prima cosa perché lo sviluppo della società non può essere basato sul consumo – per l’evidente irrazionalità del processo, infatti ciò che consuma per definizione non sviluppa – e poi perché la quantità di beni necessari a soddisfare i bisogni di una umanità in espansione non è sostenibile dal pianeta Terra che ha risorse limitate.

Le materie prime rinnovabili necessitano comunque di un tempo più lento che solo un uso intelligente e oculato possono garantire. Modificare la qualità della produzione richiede ricerca di strategie, di macchine e di forme perché le risorse necessarie a creare i beni devono durare nel tempo, devono essere utilizzate al meglio e non sprecate come si fa adesso per far invecchiare le cose precocemente con l’obsolescenza. Deve cambiare tutto il sistema.

Inoltre l’evoluzione della coscienza di sé ha fatto sì che l’essere umano non si riconosca più solo nel possesso di beni, ma richiede qualità di finalità, prospettive e relazione, insomma una qualità della vita adeguata alle sue aspirazioni tanto per la presente quanto per le future generazioni.

Prima si costruisce una cultura che riconosca il lavoro come espressione della creatività umana, minore sarà il verificarsi di crisi perché non ci sarà più una torta da dividersi come oggi è il mercato dei beni di consumo, ma ci sarà un movimento in espansione sia per qualità che per quantità. Con questa prospettiva, anche con tutta la robotizzazione in atto, per il prossimo secolo il problema della disoccupazione non si presenterebbe.

Grazia Baroni