Mariangela Ciampitti. Intervento per la presentazione di DemoS a Borgomanero. 15 Febbraio 2019

Ringrazio Piergiacomo per avermi invitato a condividere con voi alcune riflessioni sul tema dell’ambiente.

Vorrei iniziare da un tema a cui papa Francesco ha riservato un capitolo specifico nella sua enciclica “Laudato sì”: la perdita di biodiversità (la biodiversità è la varietà di organismi viventi presenti in un ambiente, la perdita di biodiversità può essere intesa come perdita di specie, geni o interi ecosistemi). Sentiamo spesso parlare di perdita di biodiversità, ma è difficile comprenderne a fondo i possibili impatti.

Lunedì scorso un giornalista ambientale della BBC news ha riportato quanto pubblicato negli ultimi mesi su alcuni lavori scientifici e cioè che il 40% delle specie di insetti sarebbe a rischio di forte declino a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. Gli insetti rappresentano la maggioranza delle creature presenti sulla terra e sono utili a molte altre specie incluso l’uomo. Sono cibo per uccelli, pipistrelli e piccoli mammiferi, consentono l’impollinazione del 75% delle colture nel mondo, rigenerano il suolo e controllano i parassiti delle piante. Ogni specie ha una sua funzione nell’ambiente e venendo meno rompe un equilibrio, crea un impatto.

Ho detto prima che la biodiversità può essere intesa anche a livello genetico. Vi faccio un esempio attinente al mio lavoro, alle malattie delle piante. Parliamo di banane. Quasi tutte le banane vendute nel mondo appartengono a un unico sottogruppo, il cosiddetto Cavendish, e, dal punto di vista genetico, sono praticamente identiche tra loro. La varietà Cavendish rappresenta il 99% di tutte le banane commercializzate ed esportate verso i paesi industrializzati. Sfortunatamente, la varietà Cavendish è molto suscettibile alle malattie. Ogni anno aumenta il numero dei trattamenti fungicidi che si devono effettuare, si è arrivati a superare i 50, con un forte impatto negativo sull’ambiente e sulla salute dei coltivatori di banane nelle piantagioni. Inoltre, negli ultimi anni si è diffuso un nuovo ceppo di malattia incurabile che rischia di portare le banane all’estinzione.

Noi consideriamo le banane come un frutto gustoso, comodo da mangiare. Se non potessimo più metterlo sulle nostre tavole ne saremmo dispiaciuti, ma non ci cambierebbe la vita. Proviamo invece ad allargare il nostro sguardo e a coglierne l’importanza a livello globale. Con oltre 100 milioni di tonnellate prodotte annualmente in più di 130 paesi tropicali e subtropicali, la banana è il frutto più diffuso al mondo. Le banane rappresentano il quarto alimento di base più importante al mondo. Se non si dovesse trovare rapidamente una soluzione per la malattia delle banane la food security cioè l’approvvigionamento alimentare delle popolazioni più povere del mondo sarebbe gravemente compromessa.

Viviamo quindi in un ambiente fragile, in equilibrio precario, un ambiente che abbiamo fortemente compromesso con l’inquinamento, con l’uso spregiudicato delle risorse e con scelte azzardate come quella di coltivare in tutto il mondo un’unica varietà di banane.

Papa Francesco nell’enciclica “Laudato sì” ci chiede di ricercare uno sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo che tenga conto delle generazioni future. Nel discorso che ha pronunciato il 14 febbraio scorso ai governatori del IFAD presso la FAO ha sottolineato come tutti gli Stati abbiano sottoscritto i 17 obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile stilati dalle Nazioni Unite, ma che non stiano facendo abbastanza per tentare di raggiungerli. In particolare, sui primi due “sconfiggere la povertà, sconfiggere la fame” ha detto “Risulta paradossale che buona parte delle persone che soffrono la fame e la malnutrizione vivano in zone rurali, si dedichino alla produzione di alimenti, siano contadini”. Ha quindi esortato a perseguire con maggiore impegno la lotta contro la fame e la promozione della sovranità alimentare. Quest’ultimo concetto è molto importante, significa permettere ad un popolo di avere il controllo politico nell’ambito della produzione e del consumo degli alimenti. In altre parole, tutti i Paesi, anche i più poveri, dovrebbero poter definire una propria politica agricola ed alimentare in base alle proprie necessità, rapportandosi alle organizzazioni degli agricoltori e dei consumatori. Questo purtroppo sappiamo che non è così e spesso sulle terre di chi soffre la fame e la malnutrizione vengono coltivati prodotti che dopo un lungo viaggio arrivano sulle nostre tavole.

Negli ultimi anni l’attenzione al tema del cibo è cresciuta molto e si parla spesso di come ridurre le perdite di cibo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche di come ridurre lo spreco alimentare nei Paesi sviluppati.

Il 5 febbraio è stata festeggiata la giornata nazionale proclamata dalla FAO contro lo spreco alimentare. Ogni anno gli italiani gettano nella spazzatura circa 145 i kg di cibo pro capite. In occasione di questa giornata è stato redatto un decalogo di comportamenti che tutti noi possiamo adottare. Tra questi ad esempio acquistare solo ciò che serve veramente, al ristorante chiedere di riportare a casa ciò che non viene mangiato, usare frigo, freezer e dispensa nel modo corretto. Il consiglio che preferisco è “cucinare quanto basta, ma se avanza condividere con i vicini o riciclare tutto il giorno dopo” perché mette in evidenza il valore del cibo. Spesso noi riteniamo che il cibo nasca sugli scaffali del supermercato, ma non è così. Dietro ad un barattolo di conserva di pomodoro o ad una bottiglia d’olio c’è lavoro, fatica, suolo, energia, ci sono la professionalità e il volto di chi ha coltivato i prodotti in campo e che merita una giusta remunerazione. La protesta di questi giorni dei pastori sardi per il prezzo del latte di pecora fa emergere un problema reale, occorre trovare soluzioni che permettano la giusta remunerazione del lavoro mettendo i produttori al riparo da tracolli di prezzo dovuti sì alle oscillazioni del mercato, ma spesso anche a pratiche sleali di contraffazione che vanno perseguite.

Oltre ad evitare lo spreco alimentare quotidianamente possiamo impegnarci anche nell’effettuare una spesa responsabile, prediligere alimenti locali, leggere bene le etichette e le scadenze, ecc..

Per concludere vorrei citare una frase dal libro della Genesi 2,4-9.15-17. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il termine ebraico per coltivare significa lavorare, ma anche servire. Il termine custodire è inequivocabile. Il mandato che ci viene affidato è quindi molto chiaro. In queste settimane sull’esempio della ragazzina svedese Greta Thumberg molti altri adolescenti in tutta Europa hanno incominciato a dimostrare per le strade per chiedere maggiore attenzione alla “terra che brucia”. Dobbiamo quindi impegnarci tutti a chiedere politiche più rispettose dell’ambiente, che mettano al centro lo sviluppo sostenibile e non l’interesse economico della generazione attuale. Dobbiamo rimboccarci le maniche e dimostrare nel concreto, ogni giorno, che vogliamo prenderci cura della “nostra casa comune”.