Quando sento dire, e non da ragazzi ingenui e spontanei, che l’obbligo della certificazione verde implica togliere la libertà e che rappresenta un provvedimento paragonabile alle leggi fasciste, mi sento sconfortata. Sconfortata non solo perché questo indica che si è persa la capacità di usare la logica, ma soprattutto perché dimostra che lo studio della storia come maturazione di società, cultura e umanità sta scomparendo rattrappendosi alla sola acquisizione di un accumulo indiscriminato e una giustapposizione di dati, senza riflessione.

La creazione del “green pass” è stata fatta proprio per garantire la libertà di tutti: se ci fosse stato l’obbligo del vaccino questa misura non sarebbe stata necessaria, ma il governo per adempiere al suo compito democratico l’ha ideata e implementata per rispettare due diritti: la salute di tutti e la libertà. Infatti, essa dà una pur minima garanzia a chi è vaccinato di interagire con chi non lo è senza rischi eccessivi, e a chi non è vaccinato di non essere causa di contagio agli altri; è una garanzia reciproca. Considerare il “green pass” un modo occulto di costringere la gente a vaccinarsi, come hanno insinuato le destre e alcuni mezzi di informazione, è una lettura malevola che non rispetta questa intenzione democratica di fare scelte.

È una presa di posizione gratuita che l’opposizione ha esercitato sul governo semplicemente per mostrare il suo potere, facendo azione di disturbo. Eppure, il compito dell’opposizione non dovrebbe essere di andare semplicemente contro al governo, bensì di ampliare l’obiettivo anche ai temi delle minoranze che compongono la società, rendendo la sua azione più democratica. L’opposizione fine a sé stessa crea instabilità, non democrazia.

Inoltre, la politica e le leggi vanno interpretate secondo i valori dell’umanità: altrimenti anche i principi su cui si basava il processo di Norimberga decadono. Eichmann non doveva essere giustiziato perché pedestre esecutore di leggi scritte e anche Carola Rackete, la comandante della Sea Watch doveva lasciar morire decine di persone per rispettare il Decreto Sicurezza–bis.

Sembrano affermazioni retoriche queste ultime, invece è una realtà che si sta attuando, per esempio, nel caso Riace. Sono 15 sabati consecutivi che vediamo rumorose manifestazioni contro il “green pass”, mentre per la condanna a tredici anni di carcere di Mimmo Lucano per aver salvato delle persone e per aver trasformato una situazione di emarginazione in un motore di innovazione e sviluppo, non ce n’è stata che una sola, così poco accesa da poter essere pressoché ignorata dai mezzi di comunicazione. Al di là del reale interesse suscitato dalla notizia, questa è una nuova conferma che la stampa non svolge un servizio alla democrazia, ma segue piuttosto le leggi di mercato. E questo dovrebbe indignarci profondamente a prescindere dal nostro schieramento politico.

Sicuramente Mimmo Lucano per realizzare un progetto di accoglienza degno di quella che storicamente è stata la cultura italiana ha dovuto forzare dei regolamenti burocratici, in un paese e in un contesto nel quale la burocrazia per mantenere il proprio potere di controllo è arrivata, come spesso accade, alla disumanità se non addirittura all’assurdo.

Sappiamo ancora cos’è la democrazia? Ci ricordiamo che la democrazia altro non è se non il tentativo di rendere storica e permanente la capacità di un’organizzazione di armonizzare l’esercizio della libertà personale – non solo individuale – con il bene comune? Che è lo strumento che permette di trasformare gli individui da atomi separati e in contrapposizione in soggetti intercomunicanti, solidali e collaborativi? Alla fine, vogliamo chiederci se siamo esseri che si limitano ad esprimere le leggi della chimica e della fisica, oppure se siamo esseri liberi che danno senso alla vita qualificandola secondo i propri valori di condivisione e comunione?

Avvenimenti come questi fanno emergere la superficialità dei comportamenti delle persone e l’incapacità di riflettere sulla realtà che diventa sempre più complessa e sempre più esigente. Questa è una conseguenza del depotenziamento della scuola pubblica, inteso sia per quanto riguarda gli investimenti e la percentuale di spesa pubblica, sia perché il ruolo della scuola è stato reso sempre più marginale nell’organizzazione generale della società stessa. La conseguenza immediata è che non si dà più peso e tempo alla necessità di pensare.

Cosa vuol dire pensare? Oggi la scuola non lo insegna più.

L’istruzione pubblica manca doppiamente a questo ruolo di costruzione del pensiero: prima di tutto, eliminando l’educazione civica ha privato le nuove generazioni dell’abitudine a riflettere su cosa sia la democrazia, privandole anche delle nozioni di base relative alle istituzioni che la reggono e alle loro funzioni. Il risultato paradossale è che la gente accusa il governo di non essere democratico e poi non va a votare. Questa mancanza di elementare educazione e cultura civica ha reso possibile l’impoverimento del linguaggio tanto da permettere la confusione tra concetti quali potere, politica e partito, che vengono usati come sinonimi, quando i loro significati non sono affatto coincidenti. Altrettanto grave è che la scuola oggi non sia più finalizzata a educare la persona a sapere chi è, chi vuole essere e dove vuole andare, ma semplicemente a essere funzionale a una logica capitalistica che ha come scopo quello di avere successo, dove il successo si identifica solo con il diventare ricchi.

Oggi la scuola non insegna che pensare è entrare dentro il significato delle conoscenze e includerle in un processo storico e all’interno di un contesto. Pensare vuol dire dare senso e significato reale alle parole, considerandole nella complessità del ragionamento in cui sono espresse. Per questo pensare ti rende libero: perché ti permette di sapere chi sei e chi vuoi essere, ti aiuta a individuare i criteri per riconoscere dove sei, sapere che ci sono gli altri e ti rende consapevole anche di possedere gli strumenti per esprimere tua soggettività mettendoti in relazione e non in contrapposizione con l’altro. Senza conflitto.

Quando la scuola tornerà ad insegnare a pensare e ad essere creativi? Quando riconoscerà il valore profondo di ogni persona? Quando riconoscerà che la persona, proprio perché unica e libera, è la risorsa che l’umanità attende per crescere e diventare sempre più libera e capace di individuare e rispondere al desiderio di una vita felice per tutti?

Grazia Baroni

31 ottobre 2021

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