E’ stata una campagna elettorale desolante perché è emerso chiaramente il fatto che la politica ha perso le sue coordinate di senso, la propaganda dei partiti si è costruita sui difetti altrui anziché sui propri programmi. Nessun partito ha saputo proporre un progetto di futuro, l’unico progetto evidente è stato quello conservatore, quello che rassicura ribadendo lo status quo.

Tali risultati mi hanno fatto riflettere sulla necessità di rifondare la politica: una riforma che guardi al futuro, una proposta di evoluzione della democrazia, deve rispondere alla sempre maggiore complessità del sociale, ad una umanità sempre più conscia di sé, ma ancora priva di una prospettiva comune, perché incapace di descriverla. Dare la prospettiva comune è il compito specifico del mondo della politica. Già dalla metà degli anni ’90, dopo la vicenda di “mani Pulite”, in Italia si era resa evidente la necessità di questo rinnovamento, che non è stato fatto. Anziché proporre una strada italiana ed europea originale, si è preferito seguire un modello: quello che pareva vincente dopo la caduta del Muro di Berlino. Non si era capito che a portare alla fine della Guerra Fredda non era stata la forza economica del modello liberista, ma l’attrazione dei diritti delle persone, della libertà e della giustizia sociale, l’avversione per la dittatura, fosse del proletariato o di chiunque altro.

Non si è capito che era una crisi conseguente a un’evoluzione culturale e sociale; si sono continuati a mantenere i vecchi riferimenti ideologici di destra e sinistra, a volte anche in malafede. Non si è avuta sufficiente fantasia per creare nuovi schemi di riferimento, si è preferito seguire modelli già presenti e dequalificanti come quelli del possedere e dell’apparire: si è scelto il superfluo invece del necessario.

Questo sistema non funziona più per due motivi: il primo è che non è più possibile mantenerlo. Una società che spreca e usa una logica parassitaria non può per sua stessa natura durare a lungo. Il secondo è che non corrisponde al desiderio delle persone. Una maggiore consapevolezza della qualità della vita ha portato alla luce l’insoddisfazione dell’uomo che non può essere risolta dal consumare: il motivo per cui uno esiste è la qualità delle sue relazioni con gli altri e con il mondo.

Il ruolo della politica deve essere sempre più l’arte di trovare, non già il compromesso, bensì il bene comune: l’arte di riconoscere e indicare il punto di convergenza di ogni visione del mondo. Questo si può fare solo se si ha una prospettiva aperta, che coinvolga e contempli l’intera umanità. Il punto di convergenza è che tutti tendono alla libertà e alla qualità della vita, il cui valore è la persona. Tutti, coscienti o no, concorrono al raggiungimento della felicità per quanto questo sia ancora per alcuni “il non patire la fame” o “la ricerca della libertà civile” mentre per altri è già “il qualificare sé e le relazioni”. I problemi che riguardano le risorse essenziali per la vita: aria, acqua e cibo, sarebbero tutti di semplice soluzione, se si volesse, perché non sono che questioni di distribuzione e di logistica: abbiamo gli strumenti e le conoscenze per realizzare un’equa distribuzione delle risorse. Il problema della libertà è una questione di volontà: se le società che svolgono il ruolo di leadership nel mondo capissero che è anche loro interesse diffondere questo valore, anche questo troverebbe la soluzione velocemente. La storia della caduta dell’URSS lo dimostra.

La vera frontiera adesso è far sì che le persone trovino il loro senso e lo possano realizzare concretamente. È la politica che deve dare il linguaggio per sviluppare questo pensiero, per dare le prospettive ed evolvere dallo stato attuale di insoddisfazione ad un futuro soddisfacente e creativo. Infatti si parla ancora troppo della quantità di cose da possedere e troppo poco della qualità di ciò che si è e si desidera; bisogna dare parole al desiderio, alla prospettiva. Come ha detto Prodi nell’intervista alla “Stampa” gli italiani, ma non solo loro, cercano nel leader il “fenomeno”, colui che li salverà: ma il Salvatore non esiste, perciò gli elettori si disilludono sempre di più e sempre più in fretta e cambiano repentinamente idea su chi sostenere o meno. Il prezzo è che si sta distruggendo la fiducia nelle istituzioni democratiche. Il rischio grosso è quello che il leader del momento non rinunci al proprio potere personale e lo eserciti a costo della distruzione delle istituzioni democratiche, come è già avvenuto in diversi paesi.

Se si considera questo, diventa evidente che il punto su cui investire tutto è la scuola: se non si cambia la scuola non si rinnova la società e non si costruisce niente. La scuola deve essere modellata ad accogliere il presente per creare una prospettiva. In questo senso serve veramente una riflessione profonda.

Una civiltà si evolve se riconosce da dove viene. La nostra democrazia parte dalla vittoria della Resistenza sul Nazi-fascismo fondata sulla scelta della libertà. Dobbiamo riconoscere la nostra storia e chiudere il passato come una cosa definitivamente conclusa, non perché lo si voglia nascondere, ma perché si è scelto qualcosa di diverso. Bisogna chiudere con tutti gli elementi residuali del fascismo ancora presenti nella nostra società: dal codice Rocco del sistema penale al servizio pubblico che considera il cittadino un suddito, un bambino che deve essere guidato dallo Stato, se no la minaccia della perdita della democrazia rimane sempre latente.

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che “la libertà e la dignità della persona” sono stati una scelta fatta e portata avanti dagli Italiani dal ’43 fino alla scrittura della Costituzione che ha dato origine alla Repubblica Democratica Italiana. Caso per caso si è dovuto scegliere cosa salvare, su cosa posare una pietra per non trasformare la giustizia in vendetta, per non far degenerare la Resistenza in guerra civile. Come origine non c’è stato un compromesso, ma una chiara decisione cui è seguito un altrettanto chiaro progetto. Certo la popolazione non è stata subito omogenea, conseguenza di aver avuto storie e governi differenti, ma una cosa univa gli italiani: l’analfabetismo. Dopo la costituzione del ’48 c’è voluto circa un ventennio per portare l’istruzione a livelli sufficienti ad avere un minimo di pensiero autonomo, un’opinione da parte di ciascun cittadino e le parole per saperla comunicare. Non a caso c’è stato il Sessantotto. I ragazzi si sono potuti riconoscere in una lingua comune e, grazie anche al Concilio Vaticano II, i principi cristiani sono potuti diventare i valori per la costruzione della convivenza civile e qualificata.

Con l’opportunità di votare poi il cittadino ha imparato piano piano a rendersi conto del valore della scelta. Incominciamo adesso a capire il valore del voto; leggo così la percentuale di astensione alle elezioni di quest’anno: la gente è ormai consapevole del valore del voto e non lo dà a scatola chiusa su un progetto che non conosce. Ma non è ancora sufficiente, perché bisogna ricordare che il valore del voto sta nell’esercitarlo: l’astensione è un vuoto che finisce per essere riempito da chi ha la voce più forte, che in ambito politico tende ad essere l’aspetto conservativo, perché l’innovazione è più difficile perché normalmente le novità fanno paura. Non basta la consapevolezza del valore del proprio voto, i cittadini devono anche darsi la conoscenza dei meccanismi delle istituzioni democratiche, capire come funzionano. In questo senso all’educazione civica dovrebbe essere riconosciuta una posizione più importante nella formazione scolastica.

Di fatto è con la conoscenza che si fa democrazia, uno dei compiti della politica oggi deve essere questo: fare scuola di politica. Dare gli strumenti per crearsi questa prospettiva e dare le coordinate di riferimento sia nel tempo che nello spazio, senza tralasciare la storia dei partiti. L’esercizio della scelta e della responsabilità personale deve diventare una realtà quotidiana, a tutti i livelli, qualunque sia il posto occupato nella società.

La libertà si impara essendo liberi e la felicità la costruisci se stai gustando la tua vita.

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