Grazia Baroni ci offre una riflessione sui 70 anni passati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, evidenziando i problemi che hanno finora impedito una compiuta realizzazione di quanto stabilito in quella solenne e condivisa dichiarazione.



Il 10 di dicembre c’è stata la celebrazione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che ha reso ancora più dolorosa e stridente la storia che stiamo vivendo: la guerra in Ucraina assieme a tutte le altre guerre ancora presenti sulla Terra. Nasce spontanea la domanda su come sia possibile questa schizofrenia. La risposta sta nell’omissis della dichiarazione dei diritti dell’uomo: la mancanza di una definizione di “essere umano”.

Sono passati 70 anni da questa Dichiarazione e siamo ancora in conflitto, perché? Perché i valori contenuti in questa Dichiarazione non ci appartengono ancora profondamente, la consideriamo solo teoria, non la mettiamo in pratica pur riconoscendola giusta. Questo perché gli esseri umani non si pensano dentro la storia, come possibilità; ma si pensano solo come necessità, sempre in pericolo e costretti a difendersi dagli altri e dalla natura.

Se non si ha come concezione comune la definizione di essere umano, non può esserci convergenza nel definire e riconoscere i suoi diritti e quindi si mette a rischio anche la conquista storica della forma democratica dei governi che, su questi Diritti e sulla libertà dei singoli e della società, si fonda e si promuove.

Non definendo chi è l’essere umano e le sue innate caratteristiche, anche il concetto di libertà non è un concetto condiviso né dai singoli né dalle società, sia nella sua definizione che nelle sue potenzialità.

Questo non avere un unico concetto di essere umano si deduce dal fatto che nell’economia di mercato il metro di misura non è l’umanità, ma è la competitività, che è l’elemento da cui oggi si misura l’efficacia e l’efficienza per valutare l’evoluzione della civiltà umana. Questa concezione rivela un essere umano slegato dal suo appartenere strutturalmente al globo terrestre, attraverso le sue risorse. E ancora nelle società autocratiche si riconosce il valore di un essere umano dalla quantità di controllo che esercita sul resto della sua comunità di appartenenza, ma non si riconosce membro di quella comunità, quindi un essere umano-individuo chiuso nella sua autosufficienza. Infine nelle società teocratiche l’essere umano vale in quanto esecutore di una volontà divina, ma come realtà autonoma non vale niente.

Ne consegue che oggi la celebrazione dei dritti umani è un fatto formale ed astratto, perché non si è dato a questo evento storico importantissimo una conseguenza concreta e attuale che possa innescare un processo di convergenza per riuscire a descrivere la natura dell’essere umano con la partecipazione di tutte le culture e civiltà, in modo tale che davvero possano tutti riconoscersi nella sua formulazione.

Come si può risolvere una convivenza pacifica tra gli uomini quando coesistono la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 48, che riguarda tutti gli esseri umani, insieme alla Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo sancita nel 1981 e che riguarda solo i musulmani, e che comunque è secondaria alla legge coranica, e la critica cinese alla Dichiarazione che sostiene che il diritto del singolo sia subordinato, se non assorbito, dal diritto del collettivo?

Soltanto facendo un progetto di ricerca e di comunicazione condiviso tra tutte le popolazioni che hanno sottoscritto il Documento che abbia come scopo il costruire una rappresentazione comune di “essere umano” si può pensare di incontrarci come umanità.

In seguito al trauma di ciascuna delle guerre mondiali si sono espresse due importanti iniziative di interesse universale: si è fondata la Società delle Nazioni in seguito alla Grande Guerra ed è stata promulgata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Queste iniziative dimostrano che la guerra fa emergere il valore ineludibile e incomprimibile della qualità della vita umana e della sua potenzialità creativa e comunicativa, proprio perché la guerra le distrugge e fa risaltare l’orrore che si crea quando la vita umana non ha più valore. Anche per questo è necessario porre un limite culturale in cui l’umanità tutta si possa riconoscere e al di sotto del quale non si possa andare, affinché sia evidente che chi supera quel limite nega se stesso, e finalmente dichiarare la guerra inumana, illegittima e illegale.

Anche gli eventi di corruzione, tremendi per la realtà Europea, emersi in questi giorni sono frutto di questa mancanza di consapevolezza di chi si è e di quanto l’essere umano sia l’origine e destinatario di relazioni. Ciascuno di noi è sia responsabile per le connessioni che crea che per quelle in cui si lascia coinvolgere. Se ciascuno fosse sempre consapevole del fatto che ogni gesto che si compie ha conseguenze non solo per se’ e per la propria vita, ma per l’intera umanità, penso che si risolverebbero molti dei problemi attuali; è questa coscienza che ci distingue dagli animali e che ci rende capaci di scegliere, ma ci rende anche responsabili di tutto il nostro mondo, fino all’intero universo.

Per questo si è inventata la democrazia, perché è l’organizzazione sociale che mette in relazione le due dimensioni: quella personale e quella comune.

Riflettere su qual è la natura dell’essere umano ci permetterebbe inoltre di superare la contrapposizione tra la visione umanistica e quella scientifica: anche la scienza parte dall’essere umano. E’ tremendo il sacrificare l’humanitas per l’esclusivo sviluppo della scienza, come sta succedendo negli ultimi cinquant’anni: l’uomo è e deve restare complesso, se si limita a un ambito diventa un’aberrazione. La scienza è nata dai filosofi che hanno scelto di ricercare il senso della realtà delle cose e della vita umana per comprendere come questa si relazioni con tutto il resto. E’ da questa riflessione che i filosofi hanno scoperto e riconosciuto ogni essere umano come punto di osservazione per conoscere la realtà in tutte le sue forme e, riconoscendola, l’individuo si è potuto collocare nella realtà. Quindi i filosofi hanno incominciato a misurare, a pesare, a dare forma all’indistinto, così sono nate la scienza e tutte le altre forme di conoscenza necessaria ad indagare la realtà come oggetto della relazione che definisce sempre di più il senso dell’esistenza umana.

L’attuale divergenza tra scienza e filosofia non è una qualità intrinseca alle discipline, in realtà è nata da un momento storico determinato: quello in cui c’è stato uno scontro di potere tra mondo laico e mondo religioso, che ha avuto il suo momento di più evidente crisi nell’abiura di Galileo. Una ritrovata convergenza consentirebbe alla scienza di rispondere veramente all’evoluzione della società e dell’umanità e i comitati etici non sarebbero più principalmente organi di controllo e di limitazione, ma lavorerebbero in sinergia con il lavoro dei ricercatori, innescando un circolo virtuoso molto più efficiente nella ricerca ed efficace nei risultati, perché ogni singolo scienziato in quanto persona riconoscerebbe la direzione e i limiti del suo lavoro.

Visto che la scienza è già una realtà universale e ha un linguaggio condiviso, potrebbe essere il luogo deputato ad allargare il processo fino a far convergere in un unico concetto l’idea di essere umano. Forse in qualche modo si sta già andando in questa direzione, con maggiore consapevolezza questo processo si potrebbe accelerare risolvendo finalmente tutti i conflitti.


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