Mario Draghi Premio Miriam Pozen


Grazia Baroni riprende il discorso pronunciato da Mario Draghi nel corso della cerimonia per il conferimento del Premio Miriam Pozen al MIT di Boston.

Draghi, uno dei maggiori economisti a livello internazionale, individua nella filosofia liberista, nelle privatizzazioni, nel primato della finanza le ragioni della crescita delle diseguaglianze, della crisi ambientale, dei conflitti armati.

Draghi ha richiamato i governi degli stati del mondo più sviluppato e democratico a costruire un nuovo progetto di sviluppo alternativo alle miopi visioni dell’attuale deriva conservatrice.





Al MIT di Boston, al conferimento a Mario Draghi del prestigioso premio Miriam Pozen, è successa una cosa sorprendente e molto importante che può segnare l’inizio di una nuova visione capace di suscitare una narrazione per progettare un diverso futuro. Un futuro che possa iniziare a risolvere i problemi che hanno portato alle crisi attuali.

Nel suo discorso Draghi fa un’analisi della situazione in cui siamo, nella quale rileva i motivi per cui siamo arrivati a questo punto: la globalizzazione e l’indipendenza delle banche centrali rispetto agli Stati. Questi due “eventi monumentali” dice Draghi hanno permesso in maniera subdola di spostare i paradigmi dalla competizione al conflitto. Questo spostamento è stato possibile perché si pensava che la privatizzazione, l’ampliamento dei mercati, gli investimenti finanziari e la globalizzazione avrebbero aumentato il benessere e la diffusione della democrazia, previsioni che non si sono realizzate.

Fra le altre cose, il processo della filosofia liberista, legata al consumo e al continuo aumento della produzione di beni, ha portato alla crisi ambientale e climatica.

Nel suo discorso, rilevando che i pilastri della visione liberista hanno fallito il loro compito storico, Draghi ha sancito la fine di questa filosofia come progetto per i governi e per lo sviluppo del mondo e della civiltà umana.

Draghi dice chiaramente che “si presumeva che le istituzioni internazionali sarebbero state in grado di correggere le distorsioni derivanti dalla globalizzazione – ad esempio sul clima, sulla concorrenza e sui diritti di proprietà – e che le istituzioni nazionali avrebbero sconfitto l’ineguaglianza.” Ma ciò non è avvenuto: le istituzioni nazionali della Cina, per esempio, nonostante l’inclusione nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, non hanno contribuito in alcun modo al cambiamento e al raggiungimento di una parificazione sociale. E le istituzioni internazionali, pur includendo la Russia nei forum multilaterali del G7 e del G20, e pur intrattenendo importanti legami economici e commerciali con essa, non hanno stimolato affatto lo sviluppo della democrazia, come dimostrano le aggressioni all’Ucraina e alla Georgia, finalizzate alla ricostruzione dell’Impero zarista, all’esterno della Russia e, all’interno, le leggi illiberali come il controllo dell’informazione e della stampa e l’eliminazione del diritto di critica, oltre al non rispetto dei diritti umani. I trattati commerciali, invece di essere semi di democrazia, sono stati usati come arma di ricatto da Putin: è un’ulteriore conferma del fatto che la democrazia è un nuovo modo di concepire i rapporti umani e una conquista di civiltà, non un metodo, un modello esportabile di governo. E’ una conquista di civiltà perché è una evoluzione della qualità delle relazioni umane, basate sul riconoscimento della dignità dell’altro, che è come te.

Draghi sancisce con la sua autorevolezza di dirigente economico e politico riconosciuto a livello mondiale che il liberismo è finito e che bisogna riprogettare il governo del mondo tenendo presente la giustizia sociale. Bisogna rimodulare il rapporto tra economia e finanza: l’economia senza giustizia sociale non è sostenibile.

Draghi osserva, infine, che affinché i paesi europei possano avere la forza per affrontare i grandi problemi emergenti della crisi climatica e del consolidamento delle nostre catene di approvvigionamento, dovranno concludere il processo di unificazione politica all’interno della UE, senza rinunciare al progetto specifico della giustizia sociale che la rende unica. Anche perché questo modello, che la caratterizza, durante la pandemia ha risposto meglio, è stato più efficace, nel ridurre l’impatto sulla popolazione che questa calamità ha inferto, rispetto alle strategie utilizzate dai paesi con modelli di governo e di civiltà autoritari ed autocratici.

Appare chiaro che Draghi abbia voluto richiamare i governi degli stati del mondo più sviluppato e democratico a costruire un nuovo progetto di sviluppo per il futuro ormai prossimo, che dovrà considerare le strutture di governo e le istituzioni proattive nel processo di riorganizzazione reso ormai inderogabile dalla dimostrata inadeguatezza delle ideologie che hanno modulato gli ultimi quarant’anni della nostra storia.

Draghi con questa sua relazione ha indicato una traccia di come le forze politiche progressiste possono costruire un disegno di governo che abbia solide basi per la sua realizzazione. Ha prefigurato un progetto di governo alternativo alla visione miope dell’attuale deriva conservatrice che ripropone vecchi modelli già giudicati dalla storia.

E’ auspicabile che le forze politiche che hanno a cuore la giustizia per tutti, la vita degli ultimi e dei meno privilegiati possano cogliere l’occasione di questo autorevole giudizio e trovare la forza e la sicurezza necessarie per farsi attori dell’unificazione europea e realizzarne il progetto di unione come speranza di una possibile convivenza umana pacifica e giusta..

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