Oggi vogliamo parlare di disagio giovanile, un fenomeno complesso, che coinvolge molti e che comprende tante realtà, tante espressioni di difficoltà, problemi, fragilità. Un disagio che ha aspetti sanitari come i disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia), psicologici fino alla malattia mentale. Disagio che si esprime in ambito scolastico con disturbi dell’apprendimento, e poi forme di violenza agita e subita, gli episodi di autolesionismo, di bullismo, la violenza delle bande. E poi tutto il mondo dei social che purtroppo può diventare luogo virtuale in cui cresce e si alimenta il disagio.

Vorrei partire dalle parole di Papa Francesco pronunciare poche settimane fa in occasione della VII giornata mondiale dei poveri. Quando pensiamo ai poveri ci vengono in mente altre condizioni: le persone senza fissa dimora, gli anziani, le famiglie indigenti, i rifugiati, eppure anche i giovani possono essere poveri, non solo economicamente, dice il Papa:

“Non posso tralasciare, in particolare, una forma di disagio che appare ogni giorno più evidente e che tocca il mondo giovanile. Quante vite frustrate e persino suicidi di giovani, illusi da una cultura che li porta a sentirsi “inconcludenti” e “falliti”. Aiutiamoli a reagire davanti a queste istigazioni nefaste, perché ciascuno possa trovare la strada da seguire per acquisire un’identità forte e generosa.” (Papa Francesco – discorso per la VII giornata dei poveri)

Il disagio giovanile interroga ciascuno di noi, il mondo degli adulti, ma anche il mondo degli anziani (potremmo parlare dell’importanza dei nonni, degli anziani per i giovani), interroga le nostre società, la politica. Luigi Einaudi, secondo presidente della repubblica nella storia d’Italia diceva che bisogna “Conoscere per decidere”. La politica spesso ha smesso di conoscere per decidere, spesso si decide sull’onda della cronaca, dell’emozione popolare. Ma per decidere bene bisogna conoscere, studiare.

Oggi vorremo aiutarci insieme a conoscere a comprendere meglio il mondo delle giovani generazioni.

Abbiamo scelto come titolo per questo incontro u proverbio africano:

“Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” , l’idea è quella che la responsabilità della crescita di una persona e quindi di un bambino sia una responsabilità collettiva, Ma se la responsabilità della crescita è collettiva anche affrontare le difficoltà di questa crescita è una responsabilità collettiva. Sembra un discorso un po’ vecchio quello della responsabilità della società dei problemi e delle difficoltà di chi fa fatica a vivere.

Oggi prevale il discorso: “è colpa sua, è un problema suo” oppure si cerca la colpa: della famiglia, della scuola, dei servizi sociali, dei social…” Anziché scaricare l’uno sull’altro la responsabilità è necessaria un’alleanza tra i diversi soggetti che si occupano di far crescere, educare. Oggi capita più frequentemente che di fronte ai problemi di un ragazzo ci sia un conflitto: tra la famiglia e la scuola (pensiamo alla violenza contro gli insegnanti da parte dei genitori) , ma anche viceversa l’addossare ogni responsabilità ai genitori (non all’altezza, incapaci…)

Oppure si scarica sui più fragili la colpa del proprio disagio. Ed è facile scaricare sui più deboli la colpa della loro debolezza. Certo esiste sempre la responsabilità personale di comportamenti dannosi per sé e per gli altri, ma solo considerando la complessità e la particolarità di ogni esistenza è possibile comprendere le situazioni. Prima di giudicare, prima di agire, bisogna comprendere. E per comprendere serve lo sguardo di ciascuno, un’alleanza tra tutti coloro che fanno parte del villaggio, dell’ambiente in cui il ragazzo vive.

Oggi vogliamo provare ad entrare più in profondità nella comprensione della condizione giovanile convinti come abbiamo scritto nel titolo di questo incontro che “Per crescere un bambino serve un intero villaggio”. E nel villaggio globale che è il mondo, che sono le nostre città, c’è bisogno di tutti.

Perché tutti possono essere causa del disagio giovanile e tutti possono essere aiuto a superarlo. Tutti vuole dire la famiglia, vuole dire la scuola, vuole dire i servizi sociali, vuol dire, il sistema sanitario, vuole dire le associazioni della società civile, le comunità religiose, il sistema giudiziario, le forze dell’ordine. Ognuna di queste realtà può essere inclusiva o escludente, può essere accogliente o respingente. Da sola nessuna di queste realtà può fare molto, solo insieme in un’alleanza solidale si può dare vita ad una rete di relazioni e di sinergie.

Per questo ascolteremo oggi diverse voci di chi quotidianamente incontra le giovani e i giovani, le ragazze e i ragazzi, nella scuola, nei servizi, ma anche le voci del mondo giovanile per conoscere e comprendere meglio questo mondo e provare ad intravedere delle strade per rispondere a quella che sta diventando un’emergenza, per individuare e condividere buone pratiche, per evidenziare criticità e possibili soluzioni.

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