Non si è mai ex deportati”: così pensa Lidia Beccaria Rolfi, caricata su un carro bestiame insieme ad altre prigioniere nella notte tra il 25 e il 26 giugno del 1944 e deportata a Ravensbruck. Per lei non esistono “ex deportate”, perché quella è un’esperienza che non si può cancellare e deve essere conosciuta dalle nuove generazioni. Dobbiamo a lei e al suo libro “Le donne di Ravensbrück” la conoscenza della realtà di quel campo. Si stima che tra il 1939 e il 1945 il campo di Ravensbrück abbia ospitato circa 130.000 deportati, dei quali 110.000 donne. I documenti sopravvissuti alla distruzione da parte delle autorità del campo indicano circa 92.000 vittime.

Lidia è scomparsa nel 1996 e da allora il figlio Aldo ne custodisce la memoria. Ed è a lui che intendiamo manifestare solidarietà e vicinanza per il gesto, ignobile e inqualificabile, di cui è stato vittima nei giorni scorsi, quando – nella notte – ignoti hanno imbrattato la porta della sua casa di Mondovì. La stella di David e una parola, Juden Hier – “Qui abita un ebreo” – proprio come accadeva negli anni del nazismo.

Nella notte si compiono gesti ignobili. Del resto, negli anni del nazismo gli oppositori politici dovevano essere fatti sparire “nella notte e nella nebbia”, e non doveva essere data informazione alcuna sul loro destino.

Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 la persecuzione nazista si fa violentissima, con assalti ed incendi alle sinagoghe e alle abitazioni ove risiedevano cittadini ebrei. E’ una violenza che farà, fino alla mattinata del 10 novembre, non meno di 400 cittadini ebrei assassinati. Le vittime, calcolando anche quelle dei giorni immediatamente successivi, avrebbero poi raggiunto una cifra complessiva vicina ai 1.500 individui, nella quasi totalità maschi. Alla tragedia umana si accompagnavano le distruzioni materiali. Più di 1.400 luoghi di culto ebraici furono saccheggiati, devastati e poi in buona parte bruciati.

Della notte, scrive Elie Wiesel: “Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai”

E’la notte della ragione. Che è pure notte dell’ignoranza, se è vero che Lidia Beccaria Rolfi venne deportata a Ravensbruck non perché ebrea, ma perché staffetta partigiana.

La notte si vince con la memoria. Ecco perché il prossimo 27 gennaio, giorno della memoria a 75 anni dalla liberazione di Auschwitz, non può passare invano. “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”. Così, ammoniva Primo Levi ne “I sommersi e i salvati”. Per questo, noi ricordiamo. E’ quanto intendiamo dire, oggi, nella memoria di Lidia, la “maestrina Rossana”, a diciotto anni staffetta partigiana nella XV Brigata Garibaldi “Saluzzo”.

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