La Stampa del 6 aprile 2022 racconta in un articolo a firma Filippo Massara la vicenda di 28 profughi ucraini bisognisi di dialisi accompagnati e accolti in Italia dalla Comunità di Sant’Egidio. Si tratta di persone che non potevano più contare sulle cure mediche necessarie alla sopravvivenza nell’Ucraina scovolta dalla guerra, per cui una missione della comunità, di cui facevano parte la responsabile piemontese Daniela Sironi e il novarese Piergiacomo Baroni si è recata in Slovacchia con un pulmann per portarle in Piemonte. Cinque di questi profughi proseguiranno le loro cure negli ospedali di Novara e di Borgomanero.


La macchina della solidarietà non si ferma e nel Novarese offre anche assistenza ai profughi in dialisi In città ne sono arrivati cinque dei 28 che la Comunità di Sant’Egidio ha negli ultimi giorni accompagnato e accolto in Italia. Sono tre uomini e due donne, di età compresa tra 35 e 40 anni, giunti senza familiari. Tre di loro sono assistiti all’Ospedale Maggiore, gli altri due al Santissima Trinità di Borgomanero.

«Persone fragili,che nel loro Paese non potevano più contare su una struttura dove curare la propria malattia in stato cronico – spiega Daniela Sironi, responsabile per il Piemonte della Comunità di Sant’Egidio. L’unico ospedale ucraino che ancora oggi offre sedute di dialisi salva-vita è quello di Leopoli, ma purtroppo e ormai saturo nel numero di posti letto. Gli altri sono stati bombardati, da Est verso Ovest, costringendo medici e pazienti a spostarsi verso il confine occidentale. Un appello disperato, un dramma nel dramma». La Comunità è però radicata in Ucraina e nei suoi territori confinanti. Si è quindi mossa per offrire un aiuto d’emergenza stabilendo contatti con i referenti sui territori e le autorità sanitarie locali. Nel Novarese è nata così una rete di collaborazione con il Maggiore, l’Asl e la sezione Piemonte e Valle d’Aosta della Società italiana di nefrologia(Sin).

L’intesa ha permesso di individuare le strutture disponibili a dedicare dei turni di dialisi ai profughi, che altrimenti sarebbero rimasti abbandonati. Per consentire ai rifugiati di raggiungere l’Italia era però necessario anche individuare una base intermedia che potesse ospitare sessioni di trattamento straordinarie e indispensabili per proseguire il viaggio in Europa. Grazie a un accordo con il ministero della Sanità slovacco è stato possibile appoggiarsi al centro specializzato di Kosice, che si trova a un centinaio di chilometri dal confine con l’Ucraina, dove i pullman della Comunità hanno potuto prelevare i profughi in fuga dalla guerra. Tra i volontari che hanno prestato assistenzain queste operazioni disoccorso c’è il novarese Piergiacomo Baroni: «Ho trovato naturalmente persone molto provate dalla fatica di un viaggio estremo – racconta – e che nel loro caso si complica per la malattia. Poter svolgere la dialisi a Kosice consente di recuperare un po’ di forze per affrontare l’ultima parte deltragitto, quella che li mette al sicuro dopo avere evitato il peggio».

I profughi giunti nel Novarese sono per ora ospiti di un albergo. La Comunità si occuperà di trovare per loro delle sistemazioni a casa di famiglie pronte a riceverli. Per questa attività e le altre messe a punto dal movimento assieme ai referenti sono scesi in campo i mediatori culturali formati nelle scuole di lingua e cultura italiana, ucraini residenti da anni sul territorio che nel tempo libero aiutano come interpreti. Alcuni di loro si sono offerti di assistere i connazionali che altrimenti faticherebbero a comunicare con i medici.

«Al momento sono previsti tre trattamenti a settimana per ciascuno dei nostri tre pazienti presi in carico spiega Doriana Chiarinotti, direttore della struttura di Nefrologia-Dialisi del Maggiore. Si tratta di due uomini e una donna. Abbiamo deciso di inserirli tutti nello stesso turno per ridurre l’impatto con una realtà nuova e facilitare il loro inserimento. La struttura offre supporto sanitario per tutte le pratiche che riguardano l’assistenza, compresi esami e ricette». L’avvio di questa collaborazione si traduce per Sironi anche in un messaggio di speranza. «In un contesto in cui regnano violenza e morte, dove le vite umane non sembrano avere più valore – riflette la responsabile novarese della Comunità – proteggere quelle di chi rischia di essere abbandonato perché più debole cifa credere nella pace. Confidiamo che si riveli essere un segnale di fiducia per il futuro».

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