Grazia Baroni riflette sulla necessità più urgente dei nostri tempi, cioè uscire dall’impotenza che sembra paralizzarci di fronte alla guerra in Ucraina e ai bombardamenti su Gaza. Suggerisce quindi di iniziare a guardare al passato, quanto più volte nel corso della storia ci si è convinti della necessità di superare lo scontro e la guerra e di trovare mediazioni e conciliazioni.



La tremenda realtà della guerra in Ucraina e dei bombardamenti dell’esercito israeliano sul popolo palestinese ammazzato nella striscia di Gaza, che si squaderna ogni giorno sotto i nostri occhi sta rendendo intollerabile l’inerzia dell’Europa quasi muta osservatrice e l’inefficace richiamo degli Stati Uniti a cessare il fuoco per rendere possibile un inizio di trattative di tregua tra le due parti in conflitto.

Come si fa oggi ad agire in favore della pace? Oggi che prevalgono la logica del rapporto di forze e il valore supremo pare essere il profitto?

L’umanità, però, è già arrivata a riconoscere come valore condiviso i “diritti umani”, il diritto di ogni uomo alla vita e ad una vita qualificata. E l’Europa è andata oltre alla dichiarazione soltanto: ha realizzato settant’anni di pace, ha trasformato tali principi in una realtà storica. Perfettibile, naturalmente, ma già reale, dimostrando che la pace non è un’utopia.

Forse è per questo che tante forze si sono coalizzate perché il progetto europeo non si realizzasse, perché renderebbe inutile il mercato delle armi, il mercato degli esseri umani, e perché una democrazia in compimento, attiva, tende a migliorarsi e a migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini, e non essendo più il profitto il valore di riferimento, l’economia tornerebbe a essere l’espressione dell’armonia tra le varie componenti della comunità umana. Di fatto gli sprechi diminuirebbero perché sarebbe evidente che il consumismo è un surrogato che illude di riempire con le cose il vuoto di una vita insoddisfacente.

Per riuscire a trovare una risposta a quesiti angoscianti e uscire dall’impotenza, noi cittadini dovremmo ripercorrere la nostra storia. Nella storia dell’occidente, infatti, si rilevano almeno due momenti che hanno vista realizzata una convivenza dialogante. Uno è la città di Atene che, scegliendo di vivere in una civiltà di pace, ha inventato la democrazia; l’altro sono i settanta anni di pace successivi alla Seconda guerra mondiale realizzati grazie al progetto europeo.

La democrazia, infatti, è la forma di governo su cui si è concepito e iniziato a costruire il progetto “Comunità Europea”, ma in questi ultimi trent’anni i governi hanno spesso ignorato, non considerato o addirittura tradito i principi democratici, tanto da suscitare sfiducia nella cittadinanza, fino a renderla impotente e incapace a difendere i propri diritti, e giustificata nel non rispettare i doveri civici di partecipazione necessari alla realizzazione di uno stato democratico. Perché la democrazia, senza la partecipazione dei cittadini, non esiste.

I cittadini europei sottolineando solo gli errori e le insufficienze del modello democratico senza evidenziarne i pregi ne hanno tracciato un’immagine di fragilità, di confusione del tutto inadeguata ad affrontare le sfide che il futuro ci sta già presentando, come la crisi climatica e le troppo rapide e incontrollate trasformazioni tecnologiche. Questa immagine di debolezza ha reso possibile il fatto che Putin, per esempio, pensasse di poter disprezzare le regole di convivenza internazionale e i trattati, senza pagarne le conseguenze.

Il fatto che il modello europeo non si stia compiendo ha tolto alle popolazioni del medio oriente un esempio da seguire per uscire dalla logica dell’ “occhio per occhio, dente per dente”, con la scusa del diritto alla difesa. Ma quella praticata da Israele dopo l’attacco truce di Hamas sembra più rispondere alla legge del taglione. Non è più solo un atto di pronta difesa, un’alzata di scudi per disarmare chi ti assale.

Per tutto questo è urgente che i cittadini europei ricostruiscano un linguaggio comune su ciò che si intende per stato democratico perché, se non c’è accordo sulle questioni di base, la prepotenza trova giustificazione ad agire, con la scusa di riportare l’ordine.

Per costruire un linguaggio comune si potrebbe riflettere sul perché la democrazia non si possa esportare, ma si possa solo condividere che è l’unico modo per poterla difendere. Nel ricostruire questo linguaggio comune si dovrà ripercorrere il processo storico che nel corso dei millenni ha condotto a questo progetto. Ripercorrendo questo cammino di faticosa costruzione di un nuovo modo di convivenza, meno conflittuale e finalizzato a migliorare la qualità della vita possibilmente per tutti, riusciremmo a capire quali sono i passaggi necessari a costruire una proposta di futuro comune.

Verrebbe ricordato che già i Longobardi per superare le continue lotte tra le faide che la logica della vendetta costringeva a una spirale infinita di violenza, avevano deciso di assimilarsi alla cultura dei popoli conquistati. Avevano riconosciuto infatti nella cultura umanistica incontrata, la condizione necessaria per una convivenza pacifica. Questa cultura, dando il valore assoluto all’essere umano e alla sua vita, aveva trovato nel dialogo tra le parti lo strumento per superare la logica della vendetta. Inoltre, riconosceva nella scelta di condividere e nella capacità del dono, la vera forza dell’uomo che poteva abbandonare la violenza e la logica della sopraffazione come affermazione della propria dignità.

Sarebbe quindi possibile riqualificare questi valori per superare il disastro della conflittualità in Medioriente. Solo in una condizione di sicura sopravvivenza si può guardare l’altro non come nemico, ma riconoscerlo nella comune umanità e quindi iniziare a considerarlo un possibile collaboratore per la costruzione di una convivenza non conflittuale. Anche la prepotenza di Putin troverebbe un limite nella consapevolezza del popolo europeo, che difende la propria libertà

Sta diventando sempre più chiaro che la guerra non risolve mai niente, le guerre che si sono innescate negli ultimi cinquant’anni si trascinano infinite senza approdare a nulla a partire dal Vietnam, Cecenia, Afghanistan, Siria, Sudan, Yemen. Questo perché solo in una dimensione di pace si può attivare la creatività sufficiente a progettare il futuro.

Perché, dopo la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, usiamo ancora la guerra come strumento di confronto? Perché si stanno riproponendo modelli già giudicati fallimentari dalla storia come i totalitarismi?

Perché non c’è più prospettiva: a partire dall’Europa che rimane un progetto non compiuto, continuando con le democrazie che non si sono più rinnovate, purtroppo si ripiega su ciò che si è già conosciuto e che non richiede uno sforzo creativo.

Pe questo oggi si sente fortemente la carenza della presenza attiva e innovatrice degli intellettuali: pare muto e impotente il fronte della riflessione. La loro funzione di critica della realtà attuale è possibile solo se c’è un orizzonte con cui confrontarsi, ma questo orizzonte è stato demolito dagli stessi intellettuali, che hanno accusato “l’occidente” di colonizzare culturalmente il mondo, giudicando negativo il suo antropocentrismo visto come affermazione prepotente e prevaricante sulla natura. Ma se l’essere umano e la qualità della sua vita non sono più il senso della storia, quale altra cosa mai ne può prendere il posto?

Prive di un orizzonte e di una direzione, molte istituzioni democratiche si sono trasformate da organizzazioni di servizio alla democrazia, in ruoli di potere finalizzati a mantenere o lo status quo o una rendita di posizione, persino i sindacati espressione della volontà democratica popolare.

Gli intellettuali sono muti perché consumismo, ingiustizia sociale, competitività e tutti gli strumenti per il successo personale ad ogni costo, che si sono imposti all’umanità oggi, sono solo obbiettivi individuali, non condivisibili e perciò non possono dare una prospettiva di sviluppo universale. Per una visione critica del presente ci vuole un progetto di futuro, e di come l’umanità possa raggiungere la propria pienezza.

Ogni essere umano tende al raggiungimento della felicità, che deve essere una conquista comune, non un traguardo individuale. Ancora di più, coinvolge l’intera creazione: è soltanto in un ambiente vitale e armonioso che l’essere umano gusta la pienezza della vita fino a coinvolgere la prospettiva del futuro. Solo in un ambiente improntato all’armonia si può immaginare un futuro desiderabile e riconoscere in tutti gli esseri umani la possibilità di realizzare la Comunità come pienezza della Storia.

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