Papa Francesco Mattarella


Grazia Baroni ci mostra come l’incertezza sul futuro, inncescata da una serie di eventi traumatici per l anostra società a partire dall’assassinio di Aldo Moro, ci ha portato a rivedere in negativo la missione della scuola, alla denatalità, all’incapicità di immaginare nuovi orizzonti e nuove prospettive.

Ma le indicazioni di Papa Francesco e del Presidente Mattarella ci possono dare qualche preziosa indicazione per cambiare questa situazione.





C’è un problema culturale profondo in Italia, nato dall’assassinio di Aldo Moro e finora poco rilevato. L’assassinio Moro, infatti, si può considerare un vero colpo di Stato che ha prodotto negli italiani un profondo senso di impotenza rispetto alla possibilità di costruire il proprio futuro. Questa sfiducia ha permesso alla cultura dell’economia di mercato liberista, di occupare lo spazio fino a quel momento dedicato a immaginare la visione del futuro. Questa cultura è quindi diventata dominante e si è sostituita alla cultura umanistica che mette al centro la persona come fondamento della realizzazione della comunità umana.

Quando si perde lo spazio dell’immaginazione cresce il determinismo storico a cui è funzionale il comportamento pragmatico del giorno per giorno riconosciuto e qualificato come sano realismo. Con questo si è avuta una perdita gravissima, la perdita della dimensione della speranza.

La prima conseguenza si è focalizzata nella scuola, vista come servizio alla comunità, luogo dove si cura la crescita della persona per sviluppare la creatività di ciascuno insieme alla società in cui opera; si è scelta invece la concezione di un essere umano come assemblaggio di capacità che si assommano in un processo di crescita puramente lineare secondo tappe successive.

Così, con la visione dell’uomo riconoscibile e misurabile con le tassonomie, la scuola diventa il luogo che trasforma le capacità in competenze richieste dal mondo produttivo. Da questo momento il futuro non sarà più rispondente al desiderio umano di una migliore qualità della vita, ma sarà a misura delle necessità della produzione.

Niente a che vedere con l’essere complesso della concezione umanistica che sviluppa la sua esistenza in tutte le dimensioni: dall’etica dei valori, alla capacità di critica e di pensiero; dalla conoscenza, alla capacità di relazione, fino a creare società; da quella della sopravvivenza alla condivisione, all’accumulo e alla previdenza; dalla dimensione della conservazione della memoria alla capacità di discernere ciò che è utile e buono e ciò che è superfluo o sbagliato.

All’interno della logica attuale, basata sulla competitività, la scuola non ha più il compito di formare la persona in tutte le sue capacità complesse, ma solo di misurare competenze e la capacità di adattamento. Intanto, l’industria che ha come legge quella del mercato che misura la competitività e il valore attraverso il profitto, ultimo criterio di valutazione rimastole, non ha più come ruolo il raccogliere e sviluppare la creatività dei cittadini, trasformandola in innovazione all’interno del prodotto. In questo modo non contribuisce più ad alzare la qualità della vita, a migliorare l’uso delle risorse ambientali e umane attraverso la riduzione della fatica, la sconfitta delle malattie e del riconoscere al lavoratore il gusto dell’aver fatto un buon lavoro. Per essere competitivo sul mercato, l’imprenditore si trova nella condizione obbligata di migliorare il rapporto qualità/prezzo e, quindi, il costo di produzione deve scendere. A questo scopo il periodo di apprendistato, essendo relativamente improduttivo, non può far parte del costo della produzione e viene scaricato sulla società, attraverso la propaganda che debba essere la scuola quella che deve preparare al mondo del lavoro.

Questa è una manipolazione culturale perché è una funzione che la scuola non solo non deve svolgere ma neppure potrebbe, infatti, il lavoro si impara solo lavorando, la teoria non basta. Inoltre, ciò chiude lo spazio del cambiamento, porta alla ripetizione del passato in modo sempre più sterile: quando la scuola prepara al lavoro considera solo quello che c’è già, non crea del nuovo. Senza la dimensione dell’immaginazione del nuovo, al massimo si razionalizza l’organizzazione, si migliorano le macchine per la produzione, quindi, probabilmente questo farà diminuire l’intervento dell’uomo nel processo produttivo.

Se il governo volesse veramente cambiare la qualità della scuola pubblica, dovrebbe non soltanto dedicare un massiccio finanziamento a tutto il comparto formativo e della ricerca pubblica, privata e universitaria, ma dovrebbe rendere obbligatori e finanziare i corsi di formazione e rinnovamento del corpo insegnante fino a cambiare la denominazione di Ministero da “Ministero dell’Istruzione e del Merito, “oggi adottata, a Ministero” dell’Educazione Democratica e della Creatività.” Allora sì verrebbero rispettate le fondamenta della storia italiana, valorizzando e attualizzando in concreto il concetto di Patria, fuori dalle ideologie nazionaliste e sovraniste.

La seconda conseguenza, provocata dallo shock del caso Moro e dal senso di impotenza che ne è derivato, si è materializzata in un comportamento molto più radicale, ma meno esplicito e mai verbalizzato nel contesto: la denatalità. È vero che malgrado la retorica comune sull’importanza della famiglia, questa in Italia non è supportata né valorizzata; quindi, manca una politica che favorisca la coppia e la donna in primis nel conciliare lavoro e famiglia. Mancano gli asili nido, servizi per la cura della persona, la flessibilità sul lavoro, etc., è tutto vero e ha il suo peso, ma mai queste insufficienze hanno determinato la rinuncia alla maternità.

Il vero ostacolo a questa scelta è di fatto la mancanza di speranza di una cultura e una società chiuse nel presente. Difficilmente una donna mette al mondo un figlio se questo non ha la prospettiva del futuro, non ha la speranza; non lo fa nascere in un mondo dove l’umanità è costantemente costretta nel conflitto continuo della competitività. Un mondo nel quale la gioventù è la parte più fragile e debole, è invisibile al mondo del potere e del mercato perché è d’intralcio con la sua novità e perché sfugge al controllo, oppure che è visibile soltanto per essere sfruttata. Questo vale soprattutto oggi, quando l’umanità ha capito che il vero valore dell’esistenza è l’essere umano, con la sua capacità di accoglienza e di relazione.

Scegliere di dedicare tempo e risorse ad un’altra persona, senza ricevere nulla di concreto o immediato in cambio, dimostra il riconoscere nell’umanità il vero valore dell’esistenza, il senso stesso dell’esserci su questa terra. Uno dei simboli più significativi e condivisibili della cultura umanistica per credenti o no è quello inventato da San Francesco: il Presepio. Un bambino che nascendo rinnova il mondo, come del resto si verifica in ogni nuova nascita. Per questo la denatalità è la più esplicita denuncia che l’ideologia liberista, oggi dominante, è contro l’umanità: preferisce investire in armamenti sempre più letali e mantenere situazioni di conflitto, piuttosto che investire in ricerca, in salute pubblica e nel contrastare il cambiamento climatico.

La terza conseguenza è che, mancando la dimensione della “possibilità”, la capacità creativa non è più trasformativa, ma solo espressione di originalità, spontaneismo, stravaganza; è solo la novità della cosa in sé. Raramente dà origine a qualcosa di veramente nuovo, di creativo nel senso che produce una nuova dimensione, una nuova realtà, come è stata, per esempio, l’invenzione della Rete internet che ha reso possibile la relazione tra tutti gli esseri umani. Ora, invece, le innovazioni che sfruttano lo strumento della Rete non sono più per il vantaggio di tutti, ma impongono la dittatura della ripetizione, perché hanno come finalità il profitto.

Parlando di creatività si intende tanto la creatività artistica quanto quella concreta del lavoro. Infatti, oggi il lavoro non è più legato a un cambiamento, ma solo all’illusione di cambiamento e dà ricchezza ad un numero sempre minore di persone. Per ricchezza si intende solo quella in termini di denaro e non di qualità della vita. Diventa una mera trasformazione dell’energia in prodotto che non ha la capacità né l’intento di dare quel qualcosa in più al mondo. La vera trasformazione è il trovare il modo di non mettere in competizione la qualità della vita dell’intera umanità con la natura del globo terrestre: così si svilupperebbe la ricerca a tutti i livelli, dai manufatti alle nuove tecnologie, compreso il nuovo modo di abitare. Il lavoro deve essere capace di creare uno scambio di reciproca convivenza, che si basa sulla conoscenza sia dell’essere umano che dell’ambiente naturale, per creare una sempre maggiore interazione costruttiva tra le due realtà. L’affrontare la questione climatica indicherebbe una validissima direzione da imboccare. Sarebbe un cambiamento determinante di prospettiva: dalla logica della morte a quella della vita. Anziché investire nella creazione di armamenti capaci di uccidere sempre più efficacemente, investirebbe nella scuola e nel vero sviluppo di civiltà.

Papa Francesco, in merito alla guerra in Ucraina, denuncia il fatto che l’umanità non impara mai dalla storia. Questo accade perché la si legge come eterno rapporto di forze, dove la storia è la celebrazione del vincitore. Ma se uno la guardasse dal punto di vista dell’umanità, vedrebbe che è questa che vince, perché prende sempre più coscienza di sé ed è sempre più tenace nella ricerca della pace, di una via per uscire dalla sofferenza, dal dolore e dalla morte. Vedrebbe che la risposta che la storia ci dà potrebbe trovarsi nella realizzazione dell’Unione Europea come progetto strategico di convivenza comune. Una realtà politica unitaria, primo nucleo di un futuro possibile di pace mondiale, come da anni sta indicando il nostro presidente Mattarella e come ha ribadito ancora pochi giorni fa alla cerimonia di apertura della VIII edizione della Conferenza Internazionale MED Dialogues di Roma:

“[…] Oggi,” afferma il Presidente Mattarella, “nel rispetto delle nostre differenze culturali e politiche, il moltiplicarsi di scenari di crisi ci deve spingere ad approfondire ed estendere la nostra collaborazione per affrontare, come avvenuto in passato, le sfide che abbiamo dinnanzi. Ancora una volta siamo di fronte ad un bivio. Cosa permette di guardare al progresso dell’umanità? La guerra o la pace? Dobbiamo partire” conclude Mattarella “da quei principi posti alla base della nostra convivenza civile e fondati nel quadro delle Nazioni Unite. […]” https://www.quirinale.it/elementi/74293

E’ ora di scegliere.

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